Oltre Confine

Un “Filo d’oro” ci lega tutti: la disabilità

25 Mag , 2015   Video

Provate ad immaginare di perdere all’improvviso, a causa di un incidente o di una malattia, i principali sensi grazie ai quali vi muovete nel mondo: la vista e l’udito. Vi sentirete completamente persi e privi di ogni riferimento materiale. Nelle Marche, ad Osimo, c’è un luogo dove troverete chi vi può aiutare: la Lega del Filo d’oro.

La Lega del Filo d’oro è una onlus, cioè un’associazione senza fini di lucro che riceve fondi e li deve spendere per i servizi sociali, ma non ci deve guadagnare. Ha sede ad Osimo nel verde cangiante delle colline marchigiane. La struttura è rivolta a persone con deficit plurisensoriale di varia gravità, in particolare alla vista e all’udito, ed offre loro assistenza, educazione, riabilitazione e reinserimento in famiglia e in società. Data l’importanza della sollecitazione sensoriale per l’attività cognitiva, infatti, avere un handicap sensoriale comporta un ritardo evolutivo o mentale, problemi comportamentali e danni neurologici. L’associazione è riconosciuta dal Ministero della Sanità e dell’Istruzione, che consente alle famiglie degli utenti di ricevere assistenza e cura per i degenti in modo del tutto gratuito. L’edificio della onlus può ospitare 50 persone, offrendo loro vitto e alloggio. Comprende anche un centro diagnostico ed uno di riabilitazione, dove lavorano in equipe psicologi, pedagogisti, fisioterapisti, operatori riabilitanti. Le persone ospitate rimangono nel centro finché non hanno acquisito una sufficiente autonomia che consenta loro di poter scegliere come condurre la giornata.

La maggior parte degli ospiti sono sordo-ciechi, ovvero contemporaneamente ciechi e sordomuti; molti sono bambini. Chi nasce sordo e cieco deve innanzitutto affinare una enorme curiosità per capire la fonte della vibrazione di ciò che gli si muove accanto. Per chi vive in un buio silenzioso, il tatto e lo scorrere della mano e dei polpastrelli, insieme all’odorato, sono fonte di conoscenza e di comunicazione. Si comunica con la carezza. Così si sviluppa l’educazione dei sordo-ciechi al linguaggio e alla consapevolezza di sé e del mondo.

Chi vive nel silenzio e nel buio, se abbandonato a se stesso, non riuscirà mai a percepire di essere qualcosa di distinto dal resto, almeno finché i confini con la realtà non vengono sentiti “urtando” con il mondo esterno. Spesso noi “normodotati” siamo sordi e ciechi verso il mondo interiore di queste persone, che è fatto di un tempo infinito che ci ricorda forse, a sprazzi, l’esperienza indicibile di quando eravamo embrioni nell’utero materno. Un’esperienza che Freud relega nello spazio inconscio.

I pazienti che arrivano al Filo d’oro sono sprofondati in una totale apatia. Il lavoro dell’educatore è volto a stimolare risvegli, e la sua motivazione più grande è riuscire ad assistere al passaggio da una indifferenziazione tra sé e il mondo esterno ad una consapevolezza di sé e del mondo. Non è facile. L’atto del toccare, considerato come forma di conoscenza, espressione e comunicazione si scontra con tabù molto forti nella nostra socialità. Soprattutto quando si tratta di toccare il corpo dell’altro. Agli operatori si insegna a chiudere gli occhi e le orecchie per comprendere, e percepire un diverso uso del tempo. Approcciare i sordo-ciechi rappresenta un’educazione anche per noi: riporta alla presa di contatto con se stessi.

La riabilitazione che si fa alla Lega del Filo d’oro utilizza attività di apprendimento del linguaggio che sono un tutt’uno con la presa di coscienza di sé e del mondo.

Le forme di comunicazione più usate sono: il Braille (una combinazione di punti in rilievo che formano parole); il Malossi, che usa la mano come una tastiera; il linguaggio pittografico, per coloro che un po’ riescono a vedere (con immagini in sequenza si può mostrare una procedura, come per esempio l’atto di apparecchiare a tavola, dove la figura sta al posto della parola); la Dattilologia, cioè l’uso delle singole dita della mano per comunicare, con ciascuno, una lettera.

A guidarci in questo viaggio nella struttura e dentro noi stessi è stata una persona davvero speciale: il dottor Renato De Santis, pedagogista e sociologo che lavora alla Lega del filo d’oro dal 1980 e che riesce tuttora a trasmettere, anche a degli adolescenti come noi, la curiosità e la rispettosa attenzione per il mondo particolare dei sordo-ciechi. Con lui abbiamo riflettuto su che cosa sia la “normalità”, perché la disabilità richiama questo concetto. Ma riflettendo, siamo arrivati alla conclusione che “normalità” è una parola che indica una realtà vuota, che forse usiamo per abitudine ma che non ha un vero significato. La norma è, in statistica, il valore che si ripete più frequentemente, ma nel mondo umano non ci sono due persone uguali tra loro, anche tra coloro che sono molto simili e che hanno una particolare intesa. Il dottor De Santis, per farci capire meglio il concetto, ha chiamato come volontaria per una simulazione una nostra compagna, Chaimae, che frequenta la 1H/D. Doveva fare la parte di un’amica con la quale lui mostrava di trovarsi in completo accordo su tutto. Mentre si svolgeva il confronto tra il dott. De Santis e Chaimae, chiaramente è emerso che era impossibile che ad entrambi piacessero esattamente e perfettamente le stesse cose, perché altrimenti sarebbero stati cloni l’una dell’altro. Ciascuno di noi è irripetibile, abbiamo pensato. La normalità è quindi la diversità. La diversità è varietà di risorse, ma anche varietà di forme di comunicazione che porta ciascuno a sperimentare situazioni di disabilità nel momento in cui non capisce il linguaggio dell’altro, perché nel linguaggio c’è il modo in cui vediamo il mondo. Sembra complicato, ma non lo è. Facciamo un esempio. Se siamo in vacanza in Cina, non potremo che esprimerci a gesti, se non conosciamo il cinese. E la gente del posto può avere l’impressione che siamo dei disabili, mentre cerchiamo di spiegarci gesticolando disperatamente. Ognuno vede le cose dal proprio punto di vista. Allora la normalità è che siamo tutti anche disabili. E poiché nella diversità c’è ricchezza, c’è ricchezza anche nella disabilità.

La disabilità può essere definita usando tre criteri: la capacità di scelta; la libertà nella gestione del nostro tempo; la capacità di comunicare in modo efficace ciò che desideriamo dire agli altri. Anche in questo caso il dott. De Santis ci ha fatto un esempio che a noi è risultato chiaro. Cioè quello della nonna che ci prepara ogni domenica gli gnocchi, credendo che ci piacciano, mentre noi li mangiamo per farla contenta ma in realtà non li gradiamo affatto. Finché non lo diciamo, l’incomprensione resta e noi non abbiamo capacità di scelta e di gestione libera del nostro tempo: siamo disabili!

Questo spostamento di prospettiva è essenziale soprattutto per i familiari dei disabili. Anche loro non sanno, inizialmente, come comunicare con i loro figli, che non vedono e non parlano ed hanno bisogno di qualcuno che glielo insegni. Avere un disabile in famiglia, poi, rende la quotidianità molto impegnativa. La Lega del Filo d’oro offre la possibilità, ai familiari dei degenti, di prendersi del tempo per se stessi e riposarsi. Vengono infatti offerti anche interventi a domicilio presso le famiglie, oltre che in sede, anche durante le vacanze estive.

La struttura in cui ha sede la Lega del filo d’oro, vista dall’esterno, si presenta accogliente: immersa nel verde e nei profumi delle erbe aromatiche e dei fiori, in un’atmosfera di silenzio che evoca il tipo di cura che si svolge all’interno delle mura, praticata dagli operatori, e il clima di benessere che si respira tra ospiti. Un’attenzione particolare è dedicata alla stimolazione olfattiva (piante profumate ed erbe) e a quella uditiva per chi ha una menomazione dell’udito non totale: un piccolo ruscello scorre lungo la scalinata che conduce al Centro diagnostico a segnalare, con il rumore dell’acqua che cade accanto ai gradini, che c’è un dislivello nel terreno. Il silenzio è molto particolare. Sembra che ci sia molta concentrazione. Che si lavori seriamente. Che ci sia cura per l’altro. Una serie di altalene di varia altezza e grandezza consentono anche ad adulti con ritardo cognitivo il piacere di librarsi nell’aria e “perdersi”. Ce n’è una in cui si può salire con la carrozzella, per raggiungere il massimo dell’autonomia.

Il dottor De Santis ci ha spiegato che quando facciamo la proposta di venire a giocare a chi non sa cosa significhi una attività di questo tipo e la conosce per la prima volta, dobbiamo fare attenzione affinché la persona associ solo esperienze positive alla parola “gioco”. Ecco allora che il parco giochi all’aperto è stato ideato e realizzato per prevenire ogni eventuale tipo di incidente durante il gioco. Una piattaforma ricoperta da molle consente di saltare e fare capriole spinti dal proprio peso. Non occorre poter vedere: è il corpo che si libra nell’aria e la forza di gravità fa il resto.

Nella visita all’interno le impressioni esterne sono confermate. Molto attiva è la ricerca pedagogica per migliorare le condizioni di vita di ciascuno degli ospiti, per condurlo all’autonomia. Abbiamo assistito alla dimostrazione di una stimolazione motoria sollecitata da “rinforzi positivi”, secondo un’ottica comportamentista per cui la risposta comportamentale ad uno stimolo può essere resa più frequente attraverso l’uso di una sorta di premio che il soggetto riceve ogni volta che fa qualcosa di desiderato dall’educatore: associando premio e comportamento, il soggetto ripeterà quest’ultimo. Per esempio, una ragazza con una menomazione alla vista, ma non del tutto all’udito, che vive sulla sedia a rotelle, in qualche misura può muovere un pochino gli arti, ma non è motivata a farlo perché non ha stimolazioni esterne che la sollecitino. Viene allora stimolata a muovere gambe e braccia verso un punto in cui un sensore rileva il movimento e contestualmente fa scattare il suono di alcune canzoni musicate e cantate dagli operatori del centro apposta per lei.

Il Centro diagnostico si presenta come una casetta su più piani, con le tende alle finestre e i medici senza grembiule, che portano i ragazzini a fare una tac divertente. Almeno sicuramente un po’ “diversa” da una tac normale. Qui lavorano alcuni medici e infermieri come volontari; altri invece dipendono dalla struttura ospedaliera.

La Lega del filo d’oro ha compiuto 50 anni il 20 dicembre 2014, poiché è stata fondata lo stesso giorno del 1964 da una donna divenuta sordo-cieca all’età di sette anni in seguito ad una meningite, Sabina Santilli, nata in Abruzzo negli anni Venti. Precorrendo i tempi di Internet, la donna volle mettere in rete tutti i sordo-ciechi d’Italia fondando l’Associazione, cui dette il nome di “Lega del filo d’oro”, per indicare l’importanza che ha il filo dell’amicizia per quelle persone che, altrimenti, non avrebbero alcun contatto con l’esterno, e sarebbero condannate all’isolamento.

Siamo tornati dalla visita alla Lega del filo d’oro risvegliati come da un torpore, quello che nella quotidianità ci impedisce di vedere al di là di noi stessi, della nostra falsa normalità, che forse è solo paura di vivere a pieno tutte le possibilità che abbiamo. Alcuni di noi si sono commossi nel vivere l’incontro con gli ospiti del centro, pensando forse alla differenza tra le nostre possibilità di movimento e di espressione e le loro. In verità, è necessario comprendere che la felicità si misura rispetto alle capacità che ciascuno di noi ha: pertanto, ciascuno di noi può essere felice a modo suo. E questo è vero anche per una persona che non vede e non sente.

Per un approfondimento sull’argomento, forniamo una breve bibliografia e filmografia. Segnaliamo l’articolo di Beppe Sebaste “Educazione al risveglio: visita alla Lega del Filo d’oro di Osimo” contenuto in “Il libro dei maestri”, Luca Sossella Editore, 2010. Sulla cecità in generale, sono interessanti due piccoli romanzi: “L’isola dei senza colore” di Oliver Sacks, e “Nel paese dei ciechi” di Wells. Nel settore filmografico, suggeriamo i film: “Nel paese dei sordi”, di Nicolas Philibert; “Il Ragazzo selvaggio” di F. Truffaut; “Anna dei miracoli” di Arthur Penn; “Figli di un dio minore” di Randa Haines; il recentissimo “La famiglia Belièr” di Eric Lartigau, del 2014.

 

Articolo realizzato dalla Classe 1L

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