Oltre Confine

Teatro in carcere

26 Feb , 2016  

Valore

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.

Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.

Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si é risparmiato, due vecchi che si amano.

Considero valore quello che domani non varrà piu’ niente e quello che oggi vale ancora poco.

Considero valore tutte le ferite.

Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi, provare gratitudine senza ricordare di che.

Considero valore sapere in una stanza dov’è il nord, qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato. Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca, la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.

Considero valore l’uso del verbo amare e l‘ipotesi che esista un creatore.

Molti di questi valori non ho conosciuto.

Erri De Luca , da “Opera sull’acqua e altre poesie”

Il 12 Novembre 2015 siamo tornate al carcere di Montacuto, perché invitate dai detenuti a vedere uno spettacolo teatrale, messo in scena dal settore Alta sicurezza per la regia di Vito Minoia e Paolo Polverini. Si trattava del testo di Eduardo De Filippo intitolato “Quinto piano ti saluto!”, in dialetto napoletano. Quando siamo arrivate, c’era chi si sentiva in tensione come la prima volta e chi invece era più tranquilla, proprio perché l’esperienza era conosciuta. Siamo arrivate in uno spazio nel quale le sedie, disposte a semi-cerchio, delimitavano la scena, composta da una carriola, dei sassi e una carta da parati su cui erano disegnati dei mattoni. Appena spente le luci, abbiamo sentito solo una voce che intonava una canzone napoletana, che accompagnava l’ingresso dei personaggi: gli operai del cantiere impegnati nella demolizione di un appartamento. Quando ecco che arriva un impiegato che, passando di lì, ricorda la sua vita vissuta in quella casa. La distruzione del muro da parte degli operai metaforicamente ci fa pensare ai momenti distruttivi della vita dei detenuti che potrebbero appartenere un pò a tutti. Il ricorso al dialetto  ci induce a riflettere su alcuni aspetti, come il creare un forte senso di appartenenza in chi lo usa e di esclusione in chi non ne è padrone. Il dialetto richiede una forte concentrazione per capire il significato di ciò che viene detto. La comunicazione non è sempre così immediata tra le persone; capire se stessi e gli altri rimane ancora molto faticoso. Certi pensieri, difficili da esprimere, bisogna tuttavia capirli anche se ci fanno paura e pertanto possiamo ricorrere a delle buone forme di rielaborazione. Il teatro è una di quelle. Abbiamo voluto portare in regalo un acchiappasogni che abbiamo costruito in classe con materiali di scarto, e lo abbiamo fatto pensando metaforicamente all’essere umano che, entrando in carcere, ha bisogno di lasciare andare delle cose negative che impediscono di rielaborare il suo vissuto lentamente, preparandosi ad essere reintegrato nella società.

L’acchiappasogni è un oggetto utilizzato dalle mamme latinoamericane per accompagnare serenamente il sonno dei loro bambini, scacciando figure oscure. Ne abbiamo bisogno tutti.

Classe IIL

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